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“Non credi che abbia buoni motivi per essere orgoglioso?”
— Mausolo, re defunto (Luciano,Dialoghi dei morti, Diogene e Mausolo, XXIV)

C’è qualcosa di eternamente attuale nella voce di Diogene che, nel regno dei morti, interroga l’orgoglio postumo di Mausolo. Luciano di Samosata, autore satirico del II secolo, immaginava l’aldilà come un luogo dove la vanità viene derisa, dove i monumenti si polverizzano nella risata del filosofo cinico, e la gloria si smaschera come illusione. Mausolo elenca i suoi trionfi: terre conquistate, bellezza, forza, e soprattutto quel mausoleo immenso—una tomba pensata per essere più viva della vita. Diogene lo guarda e taglia corto: “Qui siamo tutti uguali.”

Oggi i nostri mausolei non sono fatti di marmo, ma di dati. Server, cloud, archivi infiniti dove l’essere umano cerca di depositare sé stesso. Profili sociali, reputazioni digitali, algoritmi che ci proiettano come persone potenzialmente eterne, memorie che resistono alla decomposizione fisica ma non a quella etica.

Chi sono oggi i nuovi Mausoli? Influencer, CEO, guru digitali che costruiscono monumenti algoritmici alla propria grandezza? E chi è Diogene? Forse è quella coscienza critica che ci ricorda che la centralità umana non è nel dato, ma nel dubbio. Che non tutto ciò che è misurabile è desiderabile. Che non tutto ciò che è condiviso è autentico.

L’etica dell’intelligenza artificiale dovrebbe ripartire da qui: da una risata nel regno dei morti. Da una voce che smaschera l’arroganza di chi pensa di lasciare una “traccia immortale” senza aver mai coltivato davvero il senso del limite.

In fondo, la domanda di Diogene rimane:

“E allora? Sei fiero del tuo algoritmo? Ma cosa resta di te, tolta la scultura dei dati?”

Luciano ci insegna che la saggezza non coincide con la potenza, ma con la capacità di smontare le illusioni. Oggi, forse più che mai, serve una cultura dell’IA che non costruisca solo mausolei digitali, ma spazi di responsabilità condivisa, dove non conti solo ciò che funziona, ma ciò che resta umano.

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